Esiste, nelle transizioni urbanistiche tra città e territorio, un nodo gordiano che pubblica amministrazione (per semplificare, la politica) e costruttori faticano a sciogliere: le periferie.

Parliamo del tema probabilmente più inflazionato di ogni campagna elettorale.

Tema che, inserito come prioritario nei programmi, scema improvvisamente d’importanza, fino a sparire completamente dai radar, una volta terminata la competizione.

Eppure, la contrapposizione esistente tra aree dorate e suburbia resta, ancora oggi, un argomento dominante su cui articolare progetti, dalla forte impronta sociale, capaci di esprimere un’etica nuova della città.

D’altra parte, proprio in relazione al conflitto esistente tra centro e periferia, il sociologo Richard Sennet sostiene che «una città è storta e sbilenca perché è diversa e molteplice, abitata da migranti di tutti i tipi, che parlano decine di lingue diverse, e perché contiene al suo interno disuguaglianze accecanti”.

Parlare di periferie oggi, significa allontanarsi dallo stereotipo di distanza dal centro geometrico della città, perché la perifericità è legata, piuttosto, alla simultanea presenza di fattori negativi sotto il profilo architettonico, urbanistico, economico, e penalizzanti in termini di opportunità e prospettive di promozione sociale.[1]

In questo contesto, appare fin troppo facile rivolgere lo sguardo agli anni ’60 e all’esperimento sociale di Philip Zimbardo, successivamente ripreso nel 1982 dai criminologi James Q. Wilson e George L. Kelling, nell’articolo intitolato “Broken Window Theory”, analisi passata alla storia come la teoria delle finestre rotte.

Riflessione che poggia, in realtà, sopra un pensiero piuttosto semplice; osservare una finestra rotta, che nessuno ripara, diffonde l’idea d’incuria e abbandono, circostanza che, a detta dei due studiosi, favorirebbe episodi di crimini e vandalizzazioni. Di converso, uno spazio curato, con strade in ordine e pulite, difficilmente stimolerà in alcuno la tentazione di lordarlo.

Rudolph Giuliani, sindaco di New York dal 1994 al 2001, fece propria questa teoria per cambiare volto alla Grande Mela, basando il suo programma sul “tenere pulito è meno faticoso rispetto all’obbligo di pulire”.

Questa introduzione generale solleva, soprattutto nei grandi centri urbani ad alta densità abitativa, l’importanza di riqualificare le periferie al fine di donare nuova linfa al territorio, oltre a migliori prospettive per le comunità.

A Milano, per esempio, Comune e Regione hanno già investito cifre importanti per dare una prospettiva ad aree urbane marginali, dense di complessità, come i quartieri popolari del Giambellino e del Lorenteggio (proprio qui sorgerà la futuristica biblioteca, che affaccia su via Odazio).

Eppure, sotto la Madonnina, altri importanti interventi di trasformazione attendono le periferie.

L’ex scalo ferroviario di Porta Romana, che ospiterà il Villaggio olimpico dei prossimi Giochi invernali “Milano-Cortina 2026”, è un cantiere che al termine della rassegna si trasformerà nel più grande studentato d’Italia in edilizia residenziale sociale, da circa 1.700 posti.[2]

Tra Scalo Farini e via Valtellina, la riqualificazione dell’area prevede la realizzazione di 1.800 appartamenti in edilizia sociale, la creazione di un grande parco, e il Campus delle arti dell’Accademia di Brera.

In zona San Siro, invece, curiosi di capire cosa sarà dello stadio (e dell’area urbana ad esso connessa), troverà dimora, nello spazio occupato dalle scuderie De Montel, il più grande complesso termale italiano, a zero emissioni di CO2.

Pure alcune scuole e università (cui anche Crt Group presta molta attenzione nei suoi progetti), cambieranno volto. Per esempio, molto interessanti risultano i progetti relativi del nuovo campus della Statale, a Città Studi, e di quello Bovisa-Goccia del Politecnico.

Da queste esperienze progettuali, che condizioneranno il futuro di una città strategica per il paese come Milano, è possibile scorgere, per le periferie, un’ideale linea di confine.

Non si tratta, però, di un modello di demarcazione in cui esaltare le differenze, ma di un processo urbanistico capace di accendere esperienze e confronto, allo scopo di vincere contesti compressi di marginalità.

 

 

[1] A. Cecchini, “Al centro le periferie. Il ruolo degli spazi pubblici e dell’attivazione delle energie sociali in un’esperienza didattica per la riqualificazione urbana, Franco Angeli

[2] Lucia Landoni, Daniela Solito, “Come sarà Milano tra cinque anni? Dieci progetti dal centro alla periferia per disegnare il futuro della città”, Repubblica Milano